venerdì 13 maggio 2011

Bologna, la vogliamo bella e più accogliente.



E' con sconcerto che in questo periodo di concitata campagna elettorale si leggono giudizi su Bologna del tipo "città decadente", "sporca" "schifosa" "spenta" ecc... Per quanto sia oramai abitudine di una poltica che preferisce l'offesa alle proposte, c'è da chiedersi dove vivono i censori tanto severi e spietati, e se Bologna la conoscono così bene da poterla giudicare con tanta sicumera. Fra pochi giorni saranno i cittadini ad esprimersi con la partecipazione al voto e le loro preferenze sulla città che vogliono per i prossimi anni.
Ciò non significa negare i problemi della nostra città, sottovalutarli oppure ancora ritenerli una normalità da sopportare.
C'è da fare e anche molto. Ma non sempre è questione di risorse, alla cui carenza spesso si imputano i problemi come facili scusanti alle incapacità o alla mancanza di coraggio.Nè si può pensare che tutto dipenda sempre e comunque dal Comune, dai servizi alla città o dagli "altri".Capita di frequente dover fare slalom sotto i portiici per evitare deiezioni animali, o vedere gente che sparge mozziconi, carte, cicche, e contenitori vari senza utilizzare gli appositi raccoglitori
C'è sicuramente bisogno di un serio impegno di tutti per una rigenerazione urbana che metta in campo educazione, civismo, orgoglio del bello , del pulito, delle bellezze artistiche e storiche della nostra città.
Non basta una ripulita dei muri, un più adeguato arredo urbano, un maggiore e più diffuso sistema informativo (moltiplicando e migliorando l'ottimo sistema dei cartigli ideato da Riccomini e Naldi) più piste ciclabili e aree pedonali, maggiore presenza di verde, fontane, servizi igienici e panchine. Occorre che innanzitutto i bolognesi trattino la città come se fosse casa loro, con il rigore e la cura che riservano alle loro proprietà. E occorre che sempre più gente si renda tutrice del bene pubblico diffondendo con i popri comportamenti la cultura del rispetto delle regole. Poi occorrono regole precise e rigorose. Bologna è una città aperta e accogliente ma deve essere chiaro che chi viene a Bologna deve rispettare le regole della convivenza civile e all'autorità pubblica compete definirle con chiarezza, farle rispettare, prevedere e applicare le sanzioni per chi non le rispetta . In questo modo si potrà consolidare ed estendere quel senso del civismo che renda tutti tutori di una qualità della nostra città che sia godibile e attrattiva di visitatori.

mercoledì 11 maggio 2011

Unità sindacale, e non solo.



In un recente incontro organizzato da COOP per la presentazione del proprio Bilancio Sociale, il Prof. Romano Prodi commentando la situazione poltico economica del nostro paese, ha fra l'altro dichiarato che " un sindacato diviso è l'autodistruzione del Sindacato, è un suicidio collettivo al di là di chi ha ragione o di chi ha torto". Si tratta di una affermazione forte, frutto di una lettura severa di una realtà complessa e difficile dell'attuale fase della vita sindacale. Non c'è dubbio che se il mondo del lavoro non riesce ad essere unito e quindi forte, non potrà affrontare nell'interese dei lavoratori le sfide che stanno davati a tutti per effetto dei processi di cambiamento indotti dalla crisi economica, dallo sviluppo tecnologico e dalla globalizzazione dei mercati. E' la stessa sfida che devono affrontare le imprese, che non si risolve solo nella volontà o capacità dell'imprenditore. Ci sono dei porcessi di cambiamento che mettono a dura prova lavoratori e imprenditori e se non cè una sede di concertazione per affrontarli con consapevolezza e chiarezza dei punti di caduta delle specifiche situazioni ,si corre il rischio della muscolarità, della demagogia e del velleitarismo, con il risultato che la parte che è destinata a soccombere sarà sempre quella del più debole. E non è detto che quella più debole possa essere sempre il sindacato. Lo è talvolta anche l'imprenditore che, si trova di fronte a drammatici probemi di non sostenibilità della propria impresa. E purtroppo quando l'impresa non è sostenibile anche il lavoratore ne paga le conseguenze. Pertanto i tavoli di gestione delle crisi coordinati dalle istituzioni ( credo che Bologna sia per questo un esempio virtuoso) devono essere le sedi nelle quali l'unità del Sindacato e la chiarezza delle posizioni e degli impegni imprenditoriali devono esprimersi e possibilmente generare la condivisione delle azioni necessarie per la sostenibilità dell'impresa nel tempo. Ciascuno deve fare la propria parte, e non c'è dubbio che spesso ciò significa fare sacrifici. In questo contesto se mancano misure concrete di sostegno alle imprese (soprattutto con il credito) e di sostegno al reddito dei lavoratori che sono chiamati al sacrificio, l'esercizio della concertazione sui piani di sostenibilità diventa illusorio.La conseguenza è la tensione sociale che in situazioni di forte crisi economica mina la tenuta sia del sindacato che del tessuto delle imprese. E' per questo che gli strumenti di gestione della crisi non possono rimanere solo quelli tradizionali. Devono essere adeguatamente integrati con provvedimenti delle istituzioni per far fronte alle sfide che la crisi pone sia ai lavoratori che alle imprese.
E per ottenere questo occorre l'unità sindacale e anche una forte, consapevole e responsabile rappresentanza sia dei lavoratori che delle imprese.

lunedì 9 maggio 2011

Cultura, una sfida per Bologna.


Bologna ha un immenso patrimonio culturale e artistico, materiale, di eventi e iniziative.
Una ricchezza non adeguatamente conosciuta e messa a valore, che deve fare i conti con una quantità decrescente di risorse pubbliche e private che fino ad ora hanno in qualche modo sorretto questa realtà. La pesante sforbiciata ai bilanci delle istituzioni locali messa in atto con la finanziaria 2011 è ben poca cosa rispetto agli "aggiustamenti" e alle manovre di rientro nei parametri comunitari che "pioveranno" nei prossimi tempi. Già si ventila una manovra fiscale aggiuntiva a quella del 2011 che potrebbe essere spalmata sugli enti locali con gli stessi criteri di quella precedente, in barba al federalismo fiscale tanto decantato.
Si prospettano quindi tempi duri e di emergenza per il sistema culturale e artistico della nostra città.
Sarà quindi necessario tenera alta la mobilitazione contro chi ritiene che " con la cultura non si mangia", e la mette ai primi posti di ciò che occorre sacrificare.
Ma non possiamo far finta di niente o attendere che "passi la nottata" perchè, bene che vada sarà sempre più nera se non si attivano iniziative che possano contrastare questa situazione ed evitare uno sfarinamento graduale del patrimonio prima ricordato.
C'è quindi un bisogno crescente di unire alla mobilitazione contro i tagli l' attivazione di una serie di iniziative che mettano in campo nuove progettualità di rafforzamento e razionalizzazione di ciò che si fa in campo culturale a rtistico, per salvaguardarne la sostenibilità.
In primo luogo occorre inserire la realtà bolognese in una cornice di poltica regionale per il settore.
La Regione potrebbe rendersi promotrice di un fondo per la preservazione e lo sviluppo delle attività artistiche e culturali del territorio, aperto al contributo di istituzioni pubbliche e private, imprese, singoli cittadini, sorretto dalla deducibilità fiscale delle donazioni.
Destinazione di risorse e processi di razionalizzazione dovrebbero marciare di pari passo superando frammentazioni e soggettivismi cho corrono il rischio di coltivare debolezze non più sostenibili. Poi occorre un impegno generalizzato per l'autofonanziamento delle varie iniziative che costellano il panorama artistico e culturale. Occorre superare l'edea della gratuità generalizzata riservandola solo ai giovani e alle scuole. Occorre una promozione capillare del mecenatismo privato e un forte rilancio del volontariato. Insomm bisogna fare i conti con un futuro nel quale ci saranno sempre meno risorse disponibili, per quanto illuminati potrenno essere gli amministratori pubblici.
In questo contesto le funzioni pubbliche incaricate alla poltica culturale dovrebbero essere in primo luogo di supporto ai processi prima indicati e sempre meno dispensatrici di risorse a pioggia . Più coinvolgimento e partecipazione dei soggetti della cultura, maggiore impegno nel definire quadri di riferimento strategici, grande consapevolezza dei bisogno di fare i conti con il possibile e non farsi illusioni sul necessario.
In questo contesto la poltica deve saper fare la sua parte con cognizione di causa, facendo sì che le funzioni istituzionali preposte alla cultura siano adeguate e in grado di gestire le sfide durissime che ci attendono.

sabato 7 maggio 2011

L'emblematica Parmalat.


La vicenda Parmalat oltre ad essere un brutto segnale per la tenuta del nostro sistema Agroalimentare è uno degli episodi emblematici dell'assenza di una poltica agricola nel nostro paese e di come si sperpera il denaro pubblico.
Senza fare i nazionalisti o gli immemori delle leggi di mercato, va pur detto che la perdita come paese di un pezzo importante della filiera del latte, per quante possano essere le promesse di Lactalis di stare in Italia e rafforzare la Prmalat, a lungo andare può rappresentare un pericolo sia per il nostro mondo agricolo che per l'ambiente del nostro paese.
La zootecnia è un pilastro dell'agricoltura e della preservazione del territorio e non a caso tutti i paesi gestiscono poltiche che tendono a preservarla e a rafforzare le filiere che la sorreggono.
Noi abbiamo un duplice handicap, una situazione strutturale della produzione che non ci rende competitivi sui costi di produzione e una frammentazione imprenditoriale che ci rende deboli nella capacità di esportare le tante specificità che sostengono il valore dei prodotti da latte trasformato.
Quindi la prospettiva di avere un grande operatore nel latte nelle mani di un produttore francese (paese che produce molto più latte di quello che consuma) non è del tutto rassicurante come qualche cultore del libero mercato vorrebbe far credere.
Ma se questa è la prospettiva, ciò che deve far riflettere è come si è giunti alla conclusione di questa vicenda.
Tanto per dare una idea della dimensione del disastro agricolo del nostro paese, basti pensare che l'OPA di Lactalis per farci fuori la Parmalat è molto inferiore al denaro sperperato dal nostro paese per pagare le multe alla CEE sullo sforamentoi delle quote latte. Fa sorridere che i leghisti stiano ancora battendosi per pagarne altre!!!
Ma parliamo di Parmalat.
E' bene ricordare che la Parmalat, per mala gestione (con la connivenza dei vari ministri dell'agricoltura che si sono succeduti, della poltica e delle banche) aveva accumulato un "buco" di tredici miliardi di Euro coperto con un decreto del Minsitro Scaiola che ha annullato i debiti della Parmalat (in barba alla libera concorrenza nel mercato) e nominato il Dott Bondi commissario straordinario per la gestione di una azienda "risanata per decreto", riconoscendogli per questo "miracolo" un compenso plurimiliardario ( se non erro, trenta miliardi di vecchie lire) . La Parmalat grazie a questo regalo, pagato profumatamente in gran parte dal nostro paese (risparmiatori e banche) è stata gestita fino ad ora dal Dott. Bondi, che si è dedicato a fare cause miliardarie alle banche e a gestire bene l'azenda (merito che gli va riconosciuto). Vale la pena però ricordare che il Dott. Bondi ha potuto godere di una liquidità crescente derivante anche dal pagamento da parte della Banche di oltre un miliardo e mezzo di danni per aver concesso credito alla Parmalat che sapevano essere in fallimento.
Dopo tutto questo ambaradam che è costato al paese non meno di 15 miliardi ( cinque volte il salvataggio dell'Alitalia), dopo dieci anni di una gestione "da eroe" di Bondi della Parmalat, sordo a qualsiasi richiamo a pensare ad un futuro per la filiera del latte italiano (rendendosi disponibile a processi di aggregazione e acquisizione), arrivano i Francesi e ci portano via tutto. Una grande impresa, con un tesoretto di liquidità di un miliardo e mezzo, senza colpo ferire.
Il governo si rende conto della boiata che sta per accadere, predispone delle dighe di cartapesta, tanto per fare scena, sa bene che la cosa è persa. Mette in moto i banchieri amici che fanno finta di tirare fuori soldi (che probabilmente non avrebbero mai messo) fino a quando il Presidente Francese fa valere le ragioni del libero mercato e il Presidente Berlusconi non fa altro che elogiarlo (anche perchè nel bel mezzo dell'incontro nel quale si doveva fare fuoco e fiamme anche su Parmalat, arriva la notizia che Lactalis se l'è già presa) in barba agli schiamazzi della Leganord e all'arrabbiatura del Ministro Tremonti.
Questa vicenda è l'emblema del punto al quale è arrivato il nostro paese. Siamo stati dileggiati, ingannati e umiliati dopo aver dilapidato 15 miliardi per la Parmalat e 5 per le multe delle quote latte.
Ma il danno continua perchè rimangono tutti i problemi della nostra agricoltura, e il governo continua ad ignorarli.
Infatti in appena tre anni di legislatura abbiamo già cambiato tre ministri dell'agricoltura, l'ultimo è un Ministro responsabile (speriamo bene). C'è da vergognarsi a pensare che a Briuxelles, dove si decidono i destini agricoli dei paesi della comunità, noi siamo rappresentati da Ministri che appena si sono "infarinati" della materia cambiano mestiere. E chi volete che ci pensi all'agricoltura difendendola nelle sedi in cui gli altri paesi hanno ministri che frequentano Bruxelles da ben più anni .
Pensate ai sorrisini di scherno che si faranno a Bruxelles sulla vicenda Parnalat e alle spalle del nostrto paese.
Sorpende in questa situazione una certa assuefazione delle organizzazioni professionali agricole e il mezzo plauso delle organizzazioni sindacali dei lavoratori